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mercoledì 1 giugno 2011

Moda post-elettorale (Costantino della Gherardesca su VOGUE.it)

Cosa indossare sotto il Sol dell'Avvenire? Una provocazione di Costantino della Gherardesca

Le fashionista radicali d’Italia devono essere al settimo cielo per la vittoria di Giuliano Pisapia a Milano e per quella del bel ex-magistrato Luigi de Magistris a Napoli. Ora che c’è stata una svolta e l’estetica kitsch-capitalista che caratterizzava l’Italia berlusconiana è destinata a diventare un ricordo del passato, un solo pensiero ci assilla: cosa indosseremo nell’imminente futuro socialista?

GRAZIE A DIO, questo è il periodo delle collezioni resort, il che significa che tutte le compagne avranno l’imbarazzo della scelta rispetto a quale outfit rivoluzionario bolivariano indossare per fronteggiare degnamente il clima venezuelano. Per il momento, Bottega Veneta sembra essere il brand che più di altri si addice allo stile della viaggiatrice comunista, in quanto la maggior parte dei look proposti dalla pre-collezione si contraddistingue per quello che sarà il dettaglio per antonomasia dei nostri outfit futuri: la camicia con taschino. Guardato spesso dall’alto in basso dalla borghesia, il taschino della camicia è da sempre un must per il guardaroba della rivoluzionaria determinata a sovvertire il sistema. Ovviamente il consiglio è di lasciare il taschino vuoto, inutilizzato, onde evitare di sabotare la forma della camicia e tuttavia, se il gioco si fa duro nelle trincee della guerra anticapitalista, lo si può utilizzare per la fedelissima, e accettata ovunque, Carta Centurion [una carta di credito ad altissima capacità di spesa, ndr].

Un’altra casa di moda che sta dimostrando di essere all’altezza delle esigenze della moderna voguette di stampo Trotskiano è Céline: il suo è uno stile in grado di coniugare un look senza fronzoli ma glamorous allo stesso tempo, e quindi ideale per la frequentazione dei pezzi grossi dell’élite comunista: dal Consiglio dei Ministri di Cuba al Politburo del Partito Comunista Cinese. Ma meriteremmo il gulag siberiano se dimenticassimo di menzionare due nomi della moda che hanno da sempre supportato la causa comunista: Yves Saint Laurent e Prada. È da otto stagioni che Stefano Pilati pubblica il Manifesto di YSL: un vademecum sulla sua visione ultra-chic.

Ma la Grande Timoniera Miuccia non è da meno. Di recente ha infatti lanciato delle capsule collection intitolate “Made in…” che sembrano aver interpretato alla lettera la visione del leader del Partito Comunista Rivoluzionario degli Stati Uniti, Bob Avakian, il quale suggerisce di ignorare la griffe di un abito e di concentrarsi invece su dove sia stato prodotto. Così, per esempio, la collezione Prada “Made in India” è caratterizzata da ricami Chikan mentre la collezione “Made in Peru” include maglioni in alpaca delle Ande. L’auspicio è che presto Prada lanci la collezione “Made in  The Democratic People’s Republic of Korea” caratterizzata da tute da lavoratore color “blu operaio di fabbrica” e pantaloni con cordoncino in vita color “verde contadino del kolkhoz”.

Nell’attesa della collezione Prada “Made in North Korea”, i dettami della rivoluzione del popolo fashion esigono quanto segue: spogliarsi dell’oro, evitare il look cripto-fascista della moda preppy, non osare nemmeno pensare alle celebrity di Hollywood salvo che non si tratti di Sean Penn e mai indossare un cocktail dress se non si è a conoscenza sia di Michael Parenti [storico americano che ha condotto  diversi studi sul razzismo, ndr] sia di Cornel West [filosofo, sociologo e attivista per i diritti dei neri, ndr].

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