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lunedì 28 giugno 2010

Il "caso Concia" visto da Ivan Scalfarotto

 

Temete l’ira dei mansueti


Il Post racconta le origini del Gay Pride, la ribellione dei gay newyorkesi nel 1968 che si ripropone ogni anno, in modo festoso e colorato, nelle strade di tante città del mondo. Il fatto che sia una festa di gioia e di inclusione non deve far dimenticare che si tratta della manifestazione con la quale le persone omo e transessuali affermano i propri diritti e la propria dignità. E’ stato per questo particolare motivo che l’aggressione in stile fascista a Paola Concia di sabato scorso a Napoli mi ha indignato ancora più del solito: il fatto che una decina di antagonisti urlanti siano venuti ad intimidire Paola era già di per sé intollerabile. Dover avere a un gay pride un cordone di polizia e la digos a proteggere una persona (un parlamentare, l’unica parlamentare lesbica che abbiamo in Italia) era già una cosa senza precedenti e senza possibilità di essere non dico accettata ma nemmeno concepita. Ma quando ho chiesto ad una di queste scalmanate – che gridava come un’Erinni a Concia: “Vattene, non vedi che nessuno ti vuole! Te ne devi andare!” – se almeno fosse lesbica e mi ha detto che no, era etero, non ci ho visto veramente più. “Ma porca paletta, questa è la giornata dell’orgoglio gay, la giornata dell’affermazione dei diritti che noi gay abbiamo voluto così allegra e aperta e tu a che cappero di titolo vieni a decidere chi è gradito e chi no a casa nostra, alla nostra festa?” le ho gridato sul muso. Ovviamente le parole “paletta” e “cappero” non sono sicuro di averle proprio pronunciate così. E’ così che va il mondo ed è proprio quello che il gay pride prova a cambiare: le logiche di una società maschilista e incattivita, fatta di contrasti e di guerre, di contrapposizioni e di lotta, così marziale e marziana, come la faccia tirata e urlante di questa sedicente rivoluzionaria napoletana (con buona pace di Eleonora Fonseca Pimentel che si starà rivoltando nella tomba) sono proprio quelle messe maggiormente a rischio dal modello di società che il gay pride – e la rabbia che gli diede origine – rappresenta. Sarà bene che i signori dei centri sociali vadano a rileggersi i libri di storia: la prossima volta che un gruppo di facinorosi eterosessuali verrà a dettare legge a casa nostra, portando la violenza dove c’e spazio solo per la gioia e l’inclusione, potrebbero trovarsi davanti ad un’altra Christopher Street. Quindi, occhio.

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