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lunedì 21 giugno 2010

Due interessanti riflessioni geopolitiche sulla crisi in Kirghizistan (Eurasia)

Kirghizistan, un perno geopolitico
di F. William Engdahl - 20/06/2010


 
Kirghizistan, un perno geopolitico




Nel profondo dell’Asia centrale, il Kirghizistan è quello che lo stratega inglese Halford Mackinder avrebbe chiamato un perno geopolitico, un territorio che, in virtù delle sue caratteristiche geografiche, occupa una posizione centrale nelle rivalità delle superpotenze. Oggi questo piccolo paese lontano è stato scosso da ciò che può apparire come una sommossa popolare, molto ben organizzata, per destabilizzare il presidente atlantista Kurmanbek Bakiyev. Nelle loro prime interpretazioni, alcuni analisti ipotizzavano che Mosca avrebbe trovato più di un interesse passeggero per sostenere un cambiamento di regime in Kirghizistan. Gli eventi che si svolgono sarebbero dovuti al fatto che il Cremlino avrebbe messo in scena una propria versione, in negativo, delle “rivoluzioni colorate” istigate da Washington: la rivoluzione delle rose in Georgia nel 2003, la rivoluzione arancione ucraina nel 2004, e la rivoluzione dei tulipani nel 2005, che ha messo al potere, in Kirghizistan, il Presidente pro-USA Bakiyev. Eppure, nel contesto del cambiamento di potere in Kirghizistan che si svolge, capire chi fa che cosa e nel cui interesse, è tutt’altro che facile. In ogni caso, sappiamo che ciò che vi si svolge ha implicazioni enormi per la sicurezza militare per tutta la zona centrale (isola del mondo) del continente eurasiatico, dalla Cina alla Russia, e anche oltre. Infatti, tale situazione pregiudica la futura presenza degli Stati Uniti in Afghanistan e, per estensione, in tutta l’Eurasia.



Una polveriera politica

Le proteste contro il presidente Bakiyev esplosero nel marzo dell’anno scorso, dopo le rivelazioni di sospetti di corruzione su di lui e i suoi familiari. Nel 2009, Bakiyev aveva rivisto un articolo della Costituzione, recante disposizioni riguardanti la successione alla presidenza in caso di morte improvvisa o per dimissioni. Questo approccio, ampiamente interpretato come un tentativo di stabilire un “sistema di trasferimento dinastico del potere, è uno dei fattori all’origine della recente ondata di proteste in tutto il paese. Ha messo suo figlio, e altri parenti, nei posti chiave, dove hanno accumulato ingenti somme di denaro – stimate in 80 milioni di dollari l’anno – per aggiudicare agli Stati Uniti il diritto di installare una base aerea a Manas, e altri contratti” [1].
Il Kirghizistan è uno dei paesi più poveri dell’Asia centrale, oltre il 40% della sua popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Bakiyev ha nominato suo figlio Maxim (che si trova anche il tempo e i soldi per essere proprietario di una società di calcio inglese), a capo dell’Agenzia centrale per lo sviluppo, gli investimenti e l’innovazione, una posizione che gli ha permesso di controllare le risorse, le più lucrose del paese, tra cui la miniera d’oro di Kumtor [2].
Alla fine del 2009, Bakiyev ha nettamente aumentato le tasse sulle imprese piccole e medie e, all’inizio del 2010, ha introdotto nuove tasse in materia di telecomunicazioni. Ha privatizzato il maggiore fornitore di elettricità nel paese, mentre nel gennaio di quest’anno, la società privatizzata, di cui si vociferava che fosse stata venduta agli amici della famiglia per meno del 3% del suo valore stimato, raddoppiava il prezzo dell’elettricità. Il prezzo del gas di città è aumentato del 1000%. L’inverno è molto duro in Kirghizistan.
L’opposizione ha accusato Maxim Bakiyev di aver organizzato una privatizzazione di convenienza della rete di telecomunicazioni nazionale, vendendola a un amico, la cui compagnia offshore è domiciliata nelle isole Canarie. Dans les grandes lignes, la colère populaire contre Bakiev et consort se comprend. In generale, la rabbia popolare contro Bakiyev e la sua gente può capire. La questione cruciale è con quale successo la rabbia è incanalata e da chi.
Le proteste accese dopo la decisione del governo, nel marzo scorso, di aumentare drammaticamente i prezzi dell’energia e delle telecomunicazioni, quadruplicandole o più, in un paese già martoriato. Durante le rivolte dei primi di marzo, la signora Otunbayeva è stata nominata portavoce del Fronte Unito formato da tutti i partiti di opposizione. Ha quindi chiesto agli Stati Uniti di assumere un atteggiamento più attivo contro il regime di Bakiyev e per le sue carenze negli standard democratici; l’appello chiaramente rimase senza risposta [3].
Secondo le fonti russe ben informate, al contempo, Roza Otunbayeva parlava con il primo ministro russo Vladimir Putin del deteriorarsi della situazione. In seguito alla formazione del governo provvisorio guidato da Otunbayeva, Mosca è stata la prima a riconoscerlo e a offrire 300 milioni di dollari in aiuti immediati per la stabilizzazione, con il trasferimento di una porzione del prestito di 2,15 miliardi di dollari concesso dai russi nel 2009 al regime di Bakiyev, per costruire una centrale idroelettrica sul fiume Naryn. Inizialmente, 2,15 miliardi di dollari erano stati assegnati solo dopo la decisione di Bakiyev di chiudere la base militare USA di Manas, decisione che i dollari USA ruppero poche settimane dopo. Per Mosca, l’aiuto russo e l’annuncio della chiusura della base di Manas da parte di Bakiyev erano collegati. Questo versamento di 300.000.000 di dollari, tratti dai 2,15 miliardi promessi da Mosca, rilanciato dopo la cacciata di Bakiyev, sarebbe andato direttamente alla Banca Nazionale del Kirghizistan [4].
Secondo un dispaccio da Mosca dell’agenzia RIA Novosti, il Primo Ministro spodestato, Daniar Oussenov, secondo quanto riferito, disse all’ambasciatore russo a Bishkek che i media russi, che godono di una forte presenza nello stato ex-sovietico, in cui la lingua ufficiale è ancora il russo, si erano schierati contro il governo Bakiyev-Oussenov [5]. Le forze di sicurezza del governo Bakiyev, che avrebbero compreso i cecchini delle forze speciali appostati sui tetti, mentre, uccisero 81 dimostranti, provocando una pericolosa escalation di proteste durante la prima settimana di aprile. Ciò che è interessante di questi eventi, suggerendo che dietro le quinte accade di peggio, è che questa sollevazione popolare, esplosa al culmine della sua maturazione, è stata preceduto da alcuni segnali, prima di emergere sulla scena mediatica internazionale.
Le proteste si sono moltiplicate da quanto Bakiyev aveva assunto il controllo della rivoluzione dei tulipani, con il sostegno finanziario degli Stati Uniti [6]. Questo cambiamento di regime, nel 2005, aveva coinvolto l’elenco delle ONG tradizionali degli Stati Uniti, tra cui Freedom House, l’Albert Einstein Institution, la National Endowment for Democracy e la United States Agency for International Development (USAID) [7]. Nessuno di questi moti precedenti a quelli di aprile, aveva la stessa forza o la stessa raffinatezza. Gli eventi sembrano aver colto tutti di sorpresa, prima Bakiyev e il suo sostenitore, gli Stati Uniti. La tranquillità con cui si sono schierati l’esercito, la polizia e la guardia di frontiera, nelle prime ore delle ondate di protesta, suggerisce un coordinamento complesso e ingegnoso, pianificato in anticipo. Ancora oggi, non c’è alcuna indicazione del fatto che la decisione provenisse evidentemente dall’estero o meno, e in caso affermativo, se essa apparteneva al FSB russo, alla CIA o qualche altro servizio.
Il 7 aprile 2010, quando Bakiyev ha perso il controllo della situazione, sembrava essersi precipitato dagli statunitensi. Ma constatando il bagno di sangue per le strade effettuato dai cecchini di Bakiyev, e calcolando la collera della folla contro il governo, gli Stati Uniti avrebbero esfiltrato il presidente e la sua famiglia nella sua città natale di Osh, presumibilmente nella speranza di farlo tornare quando la situazione si sarebbe calmata [8]. Cosa che non è mai accaduta. Come leader del governo, dell’esercito, della polizia nazionale e della guardia di frontiera, Bakiyev il 16 aprile si dimise e si rifugiò nel vicino Kazakhstan. Ultimamente, si è esiliato in Bielorussia, dove il presidente Lukashenko, con poche risorse finanziarie, l’avrebbe ospitato in cambio di 200 milioni di dollari. [9]
Il nuovo governo provvisorio del Kirghizistan, guidato dall’ex opposizione basata sulla persona di Roza Otunbayeva, ex ministro degli Esteri, intende avviare un’indagine internazionale sui crimini commessi da Bakiyev. Un dossier di accuse è già stata formato contro di lui, suo figlio, il fratello e altri parenti. Bakiyev non aveva altra scelta che fuggire. Alcuni giorni prima di fuggire, l’esercito e la polizia erano già schierati con l’opposizione guidata da Otunbayeva, un atteggiamento che sostiene l’idea di eventi estremamente ben pianificata da almeno un partito di opposizione.
Oggi,il Kirghizistan occupa una posizione centrale. Questo paese senza sbocco sul mare, condivide un confine con la provincia cinese dello Xinjiang, un luogo altamente strategico per Pechino. Ponendosi tra i piccoli paesi dell’Asia centrale, è anch’egli un confine, a nord del suo territorio, il Kazakistan e le sue risorse petrolifere, a ovest è delimitato dall’Uzbekistan e sud dal Tagikistan. Inoltre, la Valle di Ferghana, politicamente esplosiva a causa delle sue notevoli risorse naturali, è una parte del Kirghizistan, questa area multietnica afflitta da attriti politici, si estende anche sui territori di Uzbekistan e Tagikistan. Il Kirghizistan è un paese dalle alte montagne, le catene montuose del Tien Shan e Pamir occupano il 65% del suo territorio. Circa il 90% del paese si trova a oltre 1.500 metri sul livello del mare. In termini di risorse naturali, ad eccezione dell’agricoltura, che rappresenta un terzo del suo PIL, il Kirghizistan ha oro, uranio, carbone e petrolio. Nel 1997, la miniera d’oro di Kumtor ha cominciato a sfruttare uno dei più grandi giacimenti di oro del mondo. Fino a poco tempo fa, l’agenzia nazionale Kyrgyzaltyn possedeva tutte le miniere e gestiva maggior parte di esse con joint venture con società straniere. La miniera d’oro di Kumtor, vicino al confine cinese, è di proprietà, nella sua interezza, della società canadese Centerra Gold Inc. Fino alla cacciata di Bakiyev, suo figlio Maxim, capo del Fondo per lo Sviluppo, dirigeva l’agenzia Kyrgyzaltyn, ed è anche il maggiore azionista della Centerra Gold, oggi la proprietaria della miniera d’oro di Kumtor. E’ alquanto significativo che la Centerra Gold, con sede a Toronto, abbia già annunciato la “sostituzione” di Maxim Bakiyev a capo della Kyrgyzaltyn, con Aleksej Eliseev, vice direttore dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo del Kirghizistan, dirigente del gruppo Centerra, magari sotto la guida del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e senza che gli elettori del Kirghizistan l’abbiano eletto [10].
Il Kirghizistan ha anche significative risorse di uranio e antimonio. Inoltre, gode di notevoli riserve di carbone stimate a 2,5 miliardi di tonnellate, che si trovano principalmente nel giacimento di Kara-Keche, nel nord del paese. Ma ancora più importante che la ricchezza minerarie, resta la base principale dell’US Air Force di Manas, aperta a tre mesi dal lancio della “guerra globale contro il terrorismo”, nel settembre 2001. Poco dopo, la Russia installava una propria base militare, non lontano da Manas. Oggi, il Kirghizistan è l’unica nazione ad ospitare due basi militari, statunitense e russa, uno stato di disagio per non dire altro.
In sintesi, il Kirghizistan, posizionato al centro del territorio più strategico del mondo, l’Asia centrale, è un ambito trofeo geopolitico.



La politica di Washington cammina sulle uova

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti aveva cercato di mantenere in Bakiyev la speranza, a quanto pare, di poter disperdere i manifestanti, cessare i disordini e mantenere in carica posto l’uomo dei tulipani. Hillary Clinton aveva già chiesto all’opposizione parlamentare (formato dai ministri che condannavano la corruzione e il nepotismo del governo di Bakiyev) di negoziare e di avviare un dialogo con il presidente Bakiyev, finanziato dagli Stati Uniti. Nonostante la pubblicazione dei dispacci che segnalavano le dimissioni di tutta l’amministrazione del Kirghizistan, il Dipartimento di Stato rilasciava dichiarazioni che il governo del presidente Kurmanbek Bakiyev era ancora operativo [11].
Il 7 aprile, al momento più teso dei moti, quando il risultato non era ancora chiaro, il portavoce della segretaria di stato USA, PJ Crowley, aveva detto ai giornalisti: “Vogliamo vedere il Kirghizistan evolvere, come ci auguriamo per gli altri paesi della regione. Ma detto questo, c’è un governo che opera effettivamente. Siamo alleati di questo governo nella misura in cui ci sostiene, sapete, nelle operazioni internazionali in Afghanistan…” [12]. George Orwell avrebbe ammirato questo esercizio di linguaggio doppio diplomatico. Il 15 aprile, quando divenne chiaro che Bakiyev avrebbe avuto solo un supporto limitato in casa, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti dichiarava di non volersi schierare né per il presidente deposto, né l’opposizione parlamentare. A Washington, in un comunicato che mostrava come Washington camminasse sulle uova, temendo di romperne qualcuno, soprattutto sulla questione dei diritti di accesso alla base aerea di Manas, Philip Crowley, dichiarava: “Vogliamo vedere la situazione risolversi pacificamente. E noi non ne vogliamo prendere parte“. [13]. Da allora, dopo i colloqui con il ministro degli Esteri Roza Otunbayeva e il suo staff, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e Obama, hanno calorosamente approvato la nuova situazione politica in Kirghizistan.
Otunbayeva, un membro influente del Partito comunista durante l’era sovietica, divenne il primo ambasciatore post-sovietico negli Stati Uniti, e in seguito è stata una degli assistenti al Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. Il governo ad interim guidato da Otunbayeva annunciava che avrebbe redatto il progetto di un nuova Costituzione entro sei mesi, e preparato le elezioni democratiche nel paese. L’opposizione sosteneva di aver la situazione sotto controllo in Kirghizistan, nonostante il persistere di scontri e saccheggi fuori da Bishkek [14].



Chi guida la danza?

Mentre molti speculano su un ruolo attivo, a livello locale, dei servizi di sicurezza durante la Rivoluzione anti-tulipani, dobbiamo lasciare aperta la questione. In una dichiarazione durante la sua visita a Washington, il 14 aprile, dopo una settimana di agitazioni, il presidente russo Dmitrij Medvedev espresse la sua preoccupazione per la stabilità del Kirghizistan: “Il rischio che il paese sia diviso in due parti – una a nord, uno a sud – è reale. Questo è il motivo per cui è nostro dovere aiutare i nostri partner del Kirghizistan, per trovare una soluzione per un uscire progressivamente da questa situazione.” S’immaginava a grandi linee il peggiore scenario che poteva verificarsi: destabilizzato, il governo del Kirghizistan resterebbe impotente contro gli estremisti che invadono il paese, un ripetersi della situazione in Afghanistan [15]. Dalla tribuna della conferenza sul disarmo nucleare a Praga, il consulente della Casa Bianca per la Russia, Michael McFaul, aveva parlato degli eventi in Kirghizistan: “Non è un colpo di stato montato contro gli statunitensi. Questa, noi ne siamo sicuri, non è un colpo di stato guidato dai russi.” [16].
In teoria, gli Stati Uniti avrebbero ogni ragione di credere di poter “lavorare” con i leader del nuovo governo provvisorio del Kirghizistan. E’ ben nota Roza Otunbayeva a Washington, da quando era presente come ambasciatrice negli anni ‘90. Il numero due del suo governo provvisorio, l’ex portavoce del Parlamento Omurbek Tekebayev, una figura chiave della “Tulip Revolution” del 2005 che portò al potere Bakiyev, è stato poi a Washington, invitato dal Dipartimento di Stato per partecipare a uno dei loro “programmi di scoperta”, dove insegnano alle personalità politiche emergenti estere le virtù del modo di vita americano.
Tekebayev parlava liberamente, allora, di questa esperienza: “Ho trovato che gli americani sanno come selezionare le persone, come fare una valutazione precisa di ciò che sta accadendo e come fare previsioni sugli sviluppi e cambiamenti politici futuri.” [17].
Vi sono indicazioni che il sostegno di Mosca negli recenti eventi in Kirghizistan, sia stato progettato come una rivoluzione colorata al rovescio, per controbilanciare la presenza statunitense in crescita in Asia centrale. Vi sono anche prove di un secondo cambiamento di regime sostenuto dagli Stati Uniti, magari dopo che l’amministrazione Obama aveva capito che il suo uomo, Bakiyev, si avvicinava troppo alla Cina, sul piano economico. Una terza, e improbabile versione, attribuisce le recenti sollevazioni a un’opposizione scadente, disorganizzato e interna al paese, che non sarebbe mai giunta a raccogliere che alcune migliaia di persone in piazza, per protestare contro le politiche di Bakiyev degli ultimi cinque anni. Ciò che appare chiaro è che Mosca e Washington passano attraverso le stessa esitazioni, nel mostrare una parvenza di consenso sugli eventi in atto in Kirghizistan. Il 15 aprile Kanat Saudabayev, presidente dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), ha affermato che l’evacuazione del presidente Bakiyev, sano e salvo, derivava dagli sforzi comuni di Obama e Medvedev [18]. Chiaramente, Washington e Mosca sono desiderose di imporre la loro presenza, qualunque sia il governo che si stabilisce in questo paese dell’Asia centrale di cinque milioni di persone, lacerato dal conflitto. Quello che è meno noto, ma altrettanto evidente, è il problema fondamentale che costituiscono i rapporti stabili dal Kirghizistan con la Cina, con cui condivide un’ampia frontiera. Visto da qui, ciò che sembra più interessante è la svolta che prendono gli eventi in quella terra lontana, ma che sono strategici dal punto di vista geopolitico.



Quale futuro per la base aerea di Manas?

Una delle questioni più pressanti per Washington è quella vitale per il futuro della Manas Air Base, situata vicino alla capitale Bishkek. In una dichiarazione ufficiale del Dipartimento di Stato degli USA, datato 11 aprile, la segretaria di stato Hillary Clinton ha sottolineato “l’importante ruolo che svolge il Kirghizistan, permettendo un centro di transito nell’aeroporto di Manas“. Ha lasciato poco spazio a dubbi sulle priorità di Washington nel paese, che non riguardano né la democrazia o la sua crescita economica [19].
Dopo l’attuazione del piano di “guerra contro il terrorismo” di Washington, il Pentagono ha ottenuto il diritto d’installarsi in diversi stati strategici, in Asia centrale, facendolo apertamente per condurre la guerra contro Usama bin Ladin in Afghanistan. Al momento stesso dei diritti di accesso delle sue truppe in Uzbekistan, Washington ottenne la concessione di Manas. La presenza militare statunitense, in Afghanistan, s’è naturalmente intensificata. Una delle prime decisioni di Obama, come presidente, fu quello di permettere il ‘surge’, l’aumento delle forze di occupazione, inviando 30.000 soldati supplementari e concedendo la sua approvazione per la costruzione di otto nuove basi militari “temporanee” in Afghanistan, portando a 22 il numero di basi statunitensi sul suolo afgano, tra cui i maggiori siti di Bagram e Kandahar. Il segretario alla Difesa, Robert Gates, si rifiuta di fissare un termine alla presenza statunitense in Afghanistan. Non a causa dei Taliban, ma in virtù di una strategia di lungo termine di Washington, per diffondere la sua “guerra contro il terrorismo” in tutta l’Asia centrale, e in particolare nel settore cruciale della Valle di Ferghana, che si trova tra Uzbekistan e Kirghizistan. E’ in questo contesto che i recenti avvenimenti nel Kirghizistan sono più che vantaggiosi per la Russia, la Cina e gli Stati Uniti. Il 14 aprile, Gates ha confidato alla stampa la sua certezza di vedere gli Stati Uniti ottenere i diritti di utilizzo della base di Manas, per sviluppare ciò che il Pentagono chiama il Northern Distribution Network (Rete di Distribuzione del Nord), che permette di approvvigionare per via aerea, le zone di combattimento in Afghanistan [20]. Appena pochi giorni prima, personalità del governo provvisorio di Bishkek avevano indicato che l’assegnazione dei diritti di accesso di Manas agli statunitensi, era uno delle prime cose da cancellare. Durante un colloquio con Medvedev, Barack Obama aveva ammesso che gli eventi in Kirghizistan non erano stati preordinati dai russi. Aveva immediatamente annunciato che gli Stati Uniti riconoscevano la legittimità del governo provvisorio di Roza Otunbayeva.
Ora la questione che rimane irrisolta è il ruolo che svolge il Kirghizistan nel drammatico gioco degli scacchi geopolitico per il controllo dell’Asia centrale e, di conseguenza, del cuore dell’Eurasia, secondo la terminologia del geopolitico inglese Halford Mackinder. I grandi attori esterni in Kirghizistan, in questa partita a scacchi geopolitica in Asia centrale, con un’alta posta in gioco, sono la Cina, la Russia e gli Stati Uniti. La prossima parte di questo dossier analizza gli interessi geopolitici supportati dalla Cina in Kirghizistan, uno dei suoi partner nell’Organizzazione del Trattato per la Cooperazione di Shanghai.


* F. William Engdahl è un associato al Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione e autore di diversi libri; frequente contributore alla rivista “Eurasia”


Note
[1] RIA Novosti, Russia’s Medvedev blames Kyrgyz authorities for unrests, says civil war risk high, 14 avril 2010, http://en.rian.ru/exsoviet/20100414/158570646.html
[2] John CK Daly, op. cit.
[3] Leila Saralayeva, Kyrgyz opposition protests rising utility tariffs, AP, 17 mars 2010, http://blog.taragana.com/politics/2010/03/17/thousands-of-kyrgyz-demonstrators-protest-utility-tariffs-hike-and-political-oppression-23948/
[4] RIA Novosti, Russia throws weight behind provisional Kyrgyz govt., 8 avril 2010, http://en.rian.ru/exsoviet/20100408/158480874.html. L’ex ambasciatore indiano ben informato, K. Gajendra Singh, in un articolo pubblicato da RIA Novosti, ha riferito che il signor Putin ha anche incontrato la signora Otunbayeva due volte, dopo gli eventi del 7 aprile, e che si era recata a Mosca a gennaio e marzo di quest’anno. KG Singh, Geopolitical battle in Kyrgyzstan over US military Lilypond in central Asia, RIA Novosti, 13 avril 2010.
[5] RIA Novosti, Kyrgyz prime minister protests Russian media reporting of riots, 7 avril 2010, http://en.rian.ru/world/20100407/158462398.html
[6] Richard Spencer, Quiet American behind tulip revolution, London, The Daily Telegraph, 2 avril 2005, http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/asia/kyrgyzstan/1486983/Quiet-American-behind-tulip-revolution.html
[7] Philip Shishkin, In Putin’s Backyard, Democracy Stirs — With US Help, The Wall Street Journal, 25 février2005.
[8] Kyrgyzstan National Security Service ‘source’, Specially for War and Peace.ru, 10 avril 2010: www.warandpeace.ru/ru/news/view/46021/
[9] Report from Russian political blog War and Peace.Ru. www.warandpeace.ru/ru/news/view/46417/
[10] Centerra Gold website, Toronto, Canada, http://www.centerragold.com/about/management/
[11] David Gollust, US Urges Dialogue in Kyrgyzstan, 7 avril 2010, Voice of America, http://www1.voanews.com/english/news/US-Urges-Dialogue-in-Kyrgyzstan-90120737.html
[12] PJ Crowley, comments to press regarding events in Kyrgyzstan, 7avril 2010, cité dans John CK Daly, The Truth Behind the Recent Unrest in Kyrgyzstan, www.oilprice.com.
[13] AFP, US ‘not taking sides’ in Kyrgyzstan political turmoil, 15 avril 2010, http://news.asiaone.com/News/AsiaOne%2BNews/World/Story/A1Story20100415-210389.html
[14] Hamsayeh.net, New Interim Kyrgyz Government to Shut Down the US Airbase at Manas, 9 avril 2010, http://www.hamsayeh.net/hamsayehnet_iran-international%20news1114.htm
[15] Karasiwo, Nuclear deals and Kyrgyz fears – Medvedev in Washington, 14 avril 2010, http://www.allvoices.com/contributed-news/5610284-nuclear-deals-and-kyrgyz-fears-medvedev-in-washington
[16] Maria Golovnina and Dmitry Solovyov, Kyrgyzstan’s new leaders say they had help from Russia, The Globe and Mail, Toronto, 8 avril 2010, http://www.theglobeandmail.com/news/world/kyrgyzstans-new-leaders-say-they-had-help-from-russia/article1527239/
[17] Sreeram Chaulia, Democratisation, NGOs and ‘colour revolutions’, 19 january 2006, http://www.opendemocracy.net/globalization-institutions_government/colour_revolutions_3196.jsp
[18] BNO News, OSCE says Kyrgyzstan President Bakiyev’s departure is the result of joint efforts with Obama, Medvedev, 15 avril 2010,
http://www.thaindian.com/newsportal/world/osce-says-kyrgyzstan-president-bakiyevs-departure-is-the-result-of-joint-efforts-with-obama-medvedev_100348625.html
[19] Philip Crowley, Assistant Secretary of State, US Clinton Urges Peaceful Resolution of Kyrgyz Situation, 11 avril 2010, citato da RIA Novosti, http://en.rian.ru/world/20100411/158517788.html
[20] Donna Miles, Gates expresses confidence in continued Manas access, American Forces Press Service, 14 avril 2010, http://www.af.mil/news/story.asp?id=123199625



Traduzione di Alessandro Lattanzio


 

La geopolitica del Kirghizistan

:::: Eric Walberg :::: 21 giugno, 2010 :::: Email This Post   Print This Post
La geopolitica del Kirghizistan

Sono almeno 171, forse 500 i e migliaia i feriti, in questa settimana di disordini nel Kirghizistan meridionale, quasi tutti di etnia uzbeka. Più di 80,000 persone si sono rifugiate nel vicino Uzbekistan, che ha chiuso i propri confini per l’impossibilità di accoglierne altre. Lunedì, la Cina ha iniziato a evacuare la maggior parte dei suoi 1000 residenti.
A Osh, la seconda città del Kirghizistan, a Jalalabad e in alcuni villaggi, Kirghizi armati hanno attacaato i quartieri Uzbeki, uccidendo e bruciando indiscriminatamente. Secondo la Croce Rossa, in un solo cimitero sono stati sepolti 100 cadaveri. Il caos si è dilagato fino alla capitale, Bishkek, ma è stato tenuto sotto controllo quando la polizia anti-sommosse che ha fatto uso di gas lacrimogeni.
La Presidente del Kirghizistan Roza Otunbayeva ha proclamato lo stato d’emergenza nel sud, ha mobilitato i riservisti dell’esercito, e ha ordinato di “sparare per uccidere” dopo che la Russia ha respinto la sua richiesta di sabato scorso di mandare le proprie truppe per sedare la rivolta. Sergei Abashin, ricercatore senior dell’Istituto di Etnologia e Antropologia di Mosca, ha giustificato le decisioni presidenziali dicendo che “ la polizia locale consegnerebbe facilmente le armi ai giovani rivoltosi Kirghizi perché ha molti parenti e amici nei loro clan, e non sparerebbe mai su di loro”
Dopo consultazioni tenute lunedì con altri membri del CTSO (Organizzazione collettiva del trattato di sicurezza, della quale fanno parte anche l’Armenia, la Bielorussia, il Kazakistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan) la Russia ha deciso di mandare elicotteri, autocarri, carburante – oltre ad aiuti umanitari – ma ha escluso l’invio di truppe. L’analista Asher Pirt ha dichiarato al Deutsche Welle che “la Russia non è disposta a intervenire a meno che non veda crearsi una situazione instabile nella regione o che le gruppi etnici russi si trovino in pericolo”.
Le agitazioni stavano sobbollendo da quando il governo provvisorio è salito al potere il 7 Aprile scorso, allorché 81 contestatori furono uccisi dalla polizia ed il presidente Kurmanbek Bakiyev portò la capitale nella sua regione d’origine al sud. Il nuovo governo ha preso velocemente il controllo della capitale e sul nord del paese, ma non nel sud di Bakiyev, una parte della Valle di Ferghana dove Kirghizi, Uzbeki e Tagiki avevano convissuto per secoli prima che Stalin dividesse negli anni ’20 la vallata fra le repubbliche etniche, creando così le premesse dei problemi attuali. L’etnicità, comunque non è in realtà che una copertura della soggiacente distinzione fra coloni e nomadi, gli Uzbeki essendo più orientati al business, nell’attuale clima favorevole al mercato, e sono più ricchi dei Kirghizi, rimasti legati alla pastorizia. L’Università dell’Amicizia fra i popoli fu demolita perché finanziata da un ricco uomo d’affari uzbeko.
Il discreto silenzio di Washington, apparte la condannare delle violenze, indica che gli USA si rendono conto che intervenire non farebbe che aggravare la situazione. Fintanto che alla sua base è concesso di restare in funzione, resterà in disparte. La base USA è altamente impopolare tra i locali, ed il risentimento e l’instabilità che incoraggia indusse inizialmente Otunbayeva di richiedere la sua chiusura per “motivi di sicurezza”. Tuttavia sotto forti pressioni USA, il contratto per la base fu rinnovato per un altro anno. Le autorità Kirghize hanno bloccato le operazioni di rifornimento di carburante del sub-contractor Mina Corp, che è collegato a Makism Bakiyev, figlio dello sfortunato presidente, accusato di appropriarsi indebitamente di millioni “d’affitto” ed altri servizi alla base USA, ma le operazioni sono riprese mentre la nazione si disfaceva.
Il sottocomitato del Congresso americano per la sicurezza nazionale e per gli affari esteri ha avviato in aprile un’indagine sulla Mina Corp, registrata a Gibilterra. Il governo Kirghizo ha avviato a sua volta un’indagine sulle sei compagnie di proprietà di Maksim Bakiyev: la Manas Fuels Services, l’Aviazione Kirghiza, la Central Asia Fuel, la Aviation Fuel Service, l’Aircraft Patrol Ltd, e la Central Asia Trade Group. Entrambe le mosse lasciano presagire guai per la famiglia Bakiyev, per la quale i disordini in corso sono senza dubbio un gradito diversivo.
A questo punto, c’è poco che i Kirghizi possano fare per fermare gli Americani dal gestire la loro base come se essa fosse un’entità sovrana, e questa rappresenta una crisi politica in cui Obama può dire onestamente “io non c’entro”. Ma, purtroppo, gli Stati Uniti sono la causa prima dell’ instabilità locale, avendo associato nel 1994 il Kirghizistan e altri tre stati dell’Asia centrale al programma Nato per la pace, e negli ultimi due decenni ha scaricato le varie ONG  per la diffusione della democrazia. La Rivoluzione dei Tulipani del 2005 fu orchestrata dall’ ambasciata americana, che rovesciò il rispettato presidente Askar Akayev (il quale si stava avvicinando troppo alla Cina e alla Russia), distruggendo fatalmente ogni speranza del giovane stato indipendente. Si aggiungano delitti, droghe, prostituzione, spionaggio, terrorismo e corruzione.
La vecchia divisione etnica si era mitigata sotto Akayev, ma è peggiorata nei cinque anni della Rivoluzione dei Tulipani di Bakiyev, che ha trasformato il Kirghizistan in un feudo criminale del suo clan, lasciando i relativamente prosperi Uzbeki senza alcun potere politico. Gli Uzbeki rappresentano il 15% della popolazione, e quasi il 50% nel sud. Loro sono decisamente rallegrati dalla sua caduta. Ma ne sono rallegrati anche la maggior parte dei Kirghizi. L’aggravarsi della discriminazione è stato esacerbato anche dal ritorno dei lavoratori emigrati in Russia che hanno perso il lavoro durante la recente recessione. Questa miscela tossica è risultata in un replay dei violenti scontri etnici di Osh del 1990, che provocarono centinaia di morti e si placarono soltanto quando Mosca mandò le proprie truppe.
Il governo del presidente a interim Roza Otunbayeva sperava di tenere un referendum per approvare una nuova costituzione il 27 Giugno, ma le probabilità che quel voto abbia luogo sono molto scarse. Ci vorranno tutte le energie del governo provvisorio, un grosso aiuto dalla Russia, e, soprattutto, ci vorrebbe la chiusura di Manas ed un ritorno del paese ad una normalità almeno apparente.
Che Otunbayeva non sia la corrotta, vendicativa aspirante pascià che Bakiyev ha cercato di dipingere, è chiaro a tutti. L’ex primo ministro Felix Kulo, che non fa parte del governo provvisorio, ha formato un gruppo sotto lo slogan: “Chiunque dà valore alla pace – Si unisca!”
I più preoccupati del collasso dell’autorità sono i suoi più immediati vicini. La mancanza di qualsiasi legge e ordine sta facendo ora del Kirghizistan un campo-giochi per il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, che vorrebbe rovesicare anti-Islamista presidente Uzbeko.
L’Uzbekistan è uno stato di polizia che sopprime brutalmente i religiosi musulmani uzbeki, e il regime ha tutte le ragioni di temere le conseguenze di uno stato confinante in fallimento. Anche il Tagikistan, negli anni ’90, ha sofferto un’atroce guerra civile tra Musulmani dell’est da una parte, e riformatori e forze occidentali pro-governative dall’altra, e la sua pace attuale è quantomeno fragile.
La regione cinese dello Xinjiang condivide un confine di 850km col Kirghizistan. Ci furono estese proteste soltanto l’anno scorso da parte degli Uiguri musulmani, che aspirano a un loro stato indipendente come i loro “fortunati” fratelli Kirghizi. La Cina, comprensibilmente, si preoccupa della vicina enorme base Statunitense brulicante di agenti della CIA come si preoccupa di un confine ormai poroso, che, secondo l’analista Nick Amies, facilita “operazioni di copertura destabilizzanti nella fragile provincia strategicamente e politicamente vitale.”
La Russia non ha nessun confine con il Kirghizistan, ma, come la Cina, vi ha interessi geopolitici. Il successo di Washington nell’espandere la presenza della Nato nella regione, coronato dalla creazione dell’ immensa base di Manas, è stato motivato dalla sua “guerra al terrorismo”, ma i suoi veri scopi sono l’egemonia politica ed economica. Dopotutto, sono stati gli Stati Uniti a sovvenzionare, addestrare e paracadutare da quelle parti i militanti islamici che ora infestano l’Eurasia, sulla base del principio: crea il problema, fornisci la soluzione. Esiste qualche ragione per pensare che gli USA abbiano cambiato il loro modus operandi, specialmente adesso che hanno un così facile accesso alla regione?
Come per l’Afghanistan, le vie di rifornimento Nato verso la regione attraverso il Pakistan sono praticamente inutilizzabili, facendo di Manas la questione centrale sottostante agli attuali disordini. La scorsa settimana sono stati 50 camion di rifornimento della NATO e i Talebani hanno ucciso 31 soldati della Nato. Il Generale Stanley McChrystal, comandante delle truppe Nato, sostiene che 120 leader Talebani sono stati catturati o uccisi negli ultimi 90 giorni, ma “non sono abbastanza” dicono alcuni, in quanto ogni giorno cresce sempre più “erba cattiva” nell’ implacabile clima Afghano.
Traduzione a cura di Almerico Bartoli
* Eric Walberg, giornalista, collabora col settimanale egiziano in lingua inglese “Al-Ahram Weekly”
 


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