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sabato 26 giugno 2010

Signorsì, sono omosessuale (l'Espresso)

di Tommaso Cerno
Arriverà il giorno in cui i gay in divisa potranno tranquillamente fare 'coming out'? Sicuramente. Ma per adesso in caserma sono soltanto insulti, discriminazioni, violenze. E la consegna del silenzio più assoluto
(25 giugno 2010)
foto di Giovanni Cocco 
foto di Giovanni Cocco

 Si è arruolato per seguire le orme del papà generale. E indossa con orgoglio la divisa dell'Aeronautica militare. Mostra fiero i gradi di capitano e sogna pure qualche stella in più del babbo sulla spallina. A Fabrizio, 32 anni, non manca certo il coraggio di volare o combattere nelle zone di guerra. Adora i jet supersonici, ama le armi. Gli manca, invece, la forza di confessare che è gay: "Lui è Francesco, caporale scelto. Ci siamo conosciuti in caserma due anni e mezzo fa e siamo innamorati. Quando stavo all'Accademia, avevo la ragazza. Poi l'ho incontrato...". Non si vergogna di amare un altro soldato. Se chiede di usare un nome di fantasia è perché ha paura del giudizio di suo padre e della reazione dei superiori: "Lasciare le forze armate? Sarebbe un incubo". Così ha fatto un compromesso con se stesso. Fuori sono una coppia gay come le altre, quando indossano l'uniforme fra le mura invalicabili della base militare vivono di bugie: "Qui lo chiamano "il vizio". Il machismo impera fra i militari, per cui un frocio resta sempre un frocio. Meglio tacere".

È la legge del silenzio, quella che vige nelle caserme italiane. Una legge non scritta, ma in tutto simile a quella che l'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, mise nero su bianco nel 1993: "Don't ask, don't tell", ordinò dalla Casa Bianca alla Us Army, annullando il divieto di servire se omosessuali ma proibendo ai soldati gay di manifestarsi.

Gli ufficiali non lo devono chiedere e i sottoposti non lo devono dire: una discriminazione per oltre 50 mila soldati americani, secondo il movimento gay che ha chiesto a Obama pieni diritti e attende che le promesse del Pentagono diventino realtà. In Italia, invece, si fa finta di niente. Ufficialmente non esistono problemi né con i militari gay, né con le soldatesse lesbiche.
Allo Stato maggiore della Difesa ne vanno fieri, a partire dal ministro Ignazio La Russa che durante la missione di febbraio in Afghanistan spiegò che "non c'è incompatibilità fra gay ed esercito". Sono gente come gli altri, ci si limita a dire. Ma è vero solo a parole. Mentre a Roma assicurano di "non aver mai ricevuto segnalazioni da parte di gay in uniforme maltrattati", la realtà quotidiana è ben diversa. E nelle camerate, come sugli incrociatori o nella pancia di un C-130 Hercules basta poco per essere inquadrati nel mirino della discriminazione.

Signorsì. Spesso quelle vite celate dentro anonimi armadietti sono diventate l'obiettivo di insinuazioni e insulti. Giorni e notti trascorsi fianco a fianco, condividendo docce e brande senza poter fiatare, hanno portato a violenze fisiche e verbali. Di storie come quella di Davide, 26 anni, sottufficiale degli alpini, ce n'è a decine: "Un collega mi dava della "checca" e mi chiamava "signorina". Io non gli badavo, finché un giorno mi ha chiuso in un gabinetto, pretendendo un rapporto orale. Sono sbiancato e gli ho chiesto se fosse diventato pazzo. Ma da quel momento in molti hanno cominciato a evitarmi", racconta. Oppure Michele, 33 anni, nato a Napoli. È un sergente dell'esercito e non ha mai rivelato in caserma di essere gay. Semplicemente faceva come tutti gli altri: sveglia all'alba, marce e turni di guardia. Finché un giorno qualcosa è cambiato: "Circa un anno fa dei colleghi hanno acceso il mio pc e trovato alcune fotografie. Nulla di sconcio, c'ero io con il mio ragazzo. Lui non fa il militare e, quando mi manca, guardo le foto. Da quel momento sono cominciati gli scherzi, anche pesanti. Mi urlavano "finocchio di merda" e una volta mi sono trovato con la faccia nel cesso".

Qualche mese dopo è arrivato il trasferimento e la sua vita sembrava tornata alla normalità. Ma non è durato a lungo, perché l'omofobia silenziosa delle forze armate viaggia anche in Rete. Un soldato della nuova caserma l'ha avvicinato dopo pochi giorni: "Ehi, tu! Mi ha guardato in faccia e mi ha detto: "Sei il frocio di Torino? Ti salutano i tuoi ex colleghi"".

Rispetto ai tempi della naia, è pur vero che le cose vanno meglio. Nell'era della leva obbligatoria in caserma passava di tutto, l'omofobia era violenta e spesso tacitamente avallata. Di botte ne solo volate. Così come di proposte oscene.

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