airv

mercoledì 14 luglio 2010

La ’Ndrangheta al tempo dell’happy hour (l'Unità)


di Pierfrancesco Majorino
E per fortuna che «a Milano la mafia non esiste». Fanno ancora più impressione, in queste ore nelle quali la «parte produttiva del Paese» conosce l’ennesima ondata di arresti da ’ndrangheta, le parole, di alcuni mesi fa, del Prefetto milanese Lombardi. Fanno impressione perché fotografano lucidamente il clima culturale e politico nel quale si è insediata la criminalità organizzata. Una ’ndrangheta nuova, che parla con l’accento milanese e fa affari durante l’happy hour. Una ramificazione di interessi illeciti, pratiche criminali, complicità organizzate che manovra cemento, controlla il grande spaccio di cocaina, punta gli occhi sull’Expo, si occupa di appalti, licenze e sanità. Ci siamo chiesti diverse volte come mai in consiglio comunale il centrodestra, nel silenzio del Sindaco Moratti, avesse bocciato l’istituzione della commissione antimafia proposta dal Partito Democratico. La risposta è in quel che è accaduto in tutti questi mesi. Perché c’è stata una drammatica sottovalutazione collettiva - e spesso, è bene dirlo, trasversale agli schieramenti politici - sulla portata di quel che andava accadendo. Oggi grazie all’azione della magistratura e delle forze dell’ordine alcuni risultati materiali, concreti, sul terreno squisitamente repressivo, si stanno ottenendo. Tuttavia Milano, la Lombardia, ad eccezione di un nuovo «movimento antimafia» fatto di associazioni vecchie e nuove, di alcuni rappresentanti nelle istituzioni, di un manipolo di giornalisti e «opinionisti», sembra non accorgersene per non volersi guardare dentro. Per non dirsi che alcune grandi partite immobiliari, alcune «grandi opere» o alcuni progetti legati ad Expo, sono l’oggetto delle attenzioni di una nuova criminalità che si è organizzata anche grazie a una parte della scena produttiva ed istituzionale. Quella che ha abbassato lo sguardo, fatto finta di non vedere, fatto finta di non accorgersi del cancro che le cresceva dentro. Lo stesso cancro alimentato da quei politici (e, anche qui, spiace dirlo: non solo di centrodestra) che hanno barattato o stanno barattando il piccolo favore con il voto di qualche segmento di comunità di «calabresi», che hanno immaginato la propria sorridente scalata come il frutto di sinergie non raccontabili con signorotti di questa nuova dimensione delle mafie settentrionali. Ora ciò che le istituzioni tutte, al di là di chi le governa, non possono fare è lasciare che siano ancora una volta solo loro, gli apparati repressivi, i soli ad intervenire. Perché se non si agisce sul sistema delle regole, sulla cultura politica ed imprenditoriale e sulla trasparenza degli atti amministrativi, il cancro continuerà la sua espansione e vedrà in Expo un naturale punto d’approdo.

Nessun commento:

Posta un commento