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mercoledì 7 luglio 2010

Un'interessante riflessione sul "coming out" (wordpress.com)


di illuminismo (Lorenzo)
Sono rimasto sconvolto leggendo un post, in cui un blogger acuto e intelligente se la racconta alla grande, sostenendo che si può anche non fare “coming out”, perché “tanto mia mamma lo sa già”.
Ora, io sono vissuto in un mondo (la Danimarca degli anni ’90) in cui fare coming out in famiglia era considerato una necessità. Il problema era semmai COME e QUANDO, mai SE. Si capisce molto dell’attuale situazione gay italiana proprio analizzando il rifiuto di questa elementare necessità, senza la quale non esiste veramente una comunità gay.
Il rifiuto del coming out è del tutto assimilabile alla scelta di portare il chador nei paesi arabi: non è un caso che chi non fa coming out venga chiamato “velato”. Non fare coming out significa aderire a tutto un sistema di valori, in questo caso una vita fatta di bugie nate tutta da un unico enorme non detto.
La ricetta di Terry Sanderson, nel suo libro “How to be a happy homosexual” (che, non a caso, non mi risulta sia mai stato tradotto in italiano) è il coming out sempre e comunque.  Purtroppo, la situazione retrograda del nostro paese ci impone spesso di non fare coming out sul posto di lavoro. Tuttavia, come si può sostenere di aver accettato davvero la propria omosessualità, se non è in grado di dire nemmeno alle persone più care le due magiche paroline “sono gay”?
Se si rinuncia al coming out, allora tanto vale fare come ha fatto un mio conoscente, Luca, che si è sposato con una donna e ci ha fatto anche dei figli,  vivendo una completa doppia vita. Questa è la vita delle velate, di quelli che vivono nell’armadio (in the closet). La vuoi per te? Non posso obbligarti a vivere diversamente. Ma non cercare di vendermela come una scelta razionale, perché non lo è.
Il velo ti illude di essere protetto dal mondo, ma in realtà è anche una prigione. Infatti la prima reazione di chi ha fatto coming out è quella di sentirsi “liberato”, anche se naturalmente la libertà ha un prezzo. Un prezzo che in Italia, paese di servi, pochi sono disposti a pagare.

1 commento:

  1. Voglio chiarire che, sebbene sia un fautore cosciente del coming-out e condivida totalmente l'analisi di Lorenzo, mi rendo conto che in molte realtà la liberazione dal velo sia un passaggio complesso, specie nei confronti della famiglia. Per questo insisto nel suggerire a tutti di lavorare in famiglia affinché il momento del coming out si possa avvicinare e sia meno traumatico possibile, ma esorto anche a pensarci come agli esseri preziosi che siamo e a non aver troppa paura di fare un gesto d'amore verso noi stessi e un credito di fiducia verso chi amiamo. Per quanto riguarda il coming out sul lavoro, ancora una volta dipende tutto dal grado di stima che abbiamo per noi stessi e dalla consapevolezza dei nostri diritti. Il coming out può essere preparato, magari "studiato", elaborato quanto è necessario, anche aiutati da chi può farlo, ma è il momento della vera liberazione e va fatto, da tutti.

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