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mercoledì 14 luglio 2010

"Luca era gay" esce allo scoperto (TGCOM)

Il protagonista della canzone di Povia

Si è molto parlato di lui durante Sanremo 2009, per la canzone "Luca era gay" di Povia. Un anno dopo il protagonista, Luca Di Tolve, esce allo scoperto sul settimanale A.  "Non credo ci siano gay felici. - dice - Chi nasce maschio deve fare cose da maschio. Deve seguire la sua natura. I veri maschi entrano in una comunione profonda tra di loro, senza per questo avere rapporti sessuali. Una volta ero omosessuale e di sinistra, ora sono sposato".
"E' l'amicizia virile che unisce. Io invece avevo solo legami superficiali, la passione erotica mi abbagliava, pensavo fosse quello il cameratismo che cercavo". Luca va un percorso a ritroso sulla sua vita: "Mia madre mi ha educato quasi come una bambina. Non ho avuto alcun modello maschile, così l'ho sublimato, erotizzato. Oggi mi rendo conto che facevo sesso con gli uomini per identificarmi in loro. Mi comportavo come i cannibali".
"Sono cresciuto emarginato. - continua Luca -. I ragazzini sanno essere crudeli, mi urlavano in faccia quello che già sapevo: frocio. Nei locali, tra tutti quei corpi mi sembrava di fare finalmente parte di un gruppo".
Poi la svolta. "La vera crisi è arrivata quando un mio compagno è morto di Aids. In quei giorni il virus ha spazzato via molti amici e io ho scoperto di essere stato contagiato. Era l'inizio degli anni Novanta. Qualcuno lasciò a casa mia delle dispense su Joseph Nicolosi, un terapista italoamericano che aveva messo a punto un percorso per gli omosessuali che volevano tornare etero".
Oggi Luca è sposato ma non ha figli. La tentazione di tornare indietro c'è stata. "All'inizio sbranavo i ragazzi con gli occhi. Ora ho potato le mie fantasie. Le ho quasi domate. La mia libido è molto scesa. Oggi mi nutro di amicizia virile".

Il commenti di Matteo Winkler dal Foglio Quotidiano
‘Ero gay e di sinistra. Ora sono sposato’
Leggo dal sito Internet di TgCom l’ennesima baggianata sul personaggio della celeberrima canzone di Povia, Luca era gay.

Leggo con sgomento le dichiarazioni di tale Luca, che sarebbe passato da una vita in cui “sbranava” gli uomini con gli occhi a un’esistenza coniugale fatta di “amicizie virili”. Non dubito che la sua storia possa anche essere vera — peraltro ciascuno può dichiarare quel che gli pare sul suo passato e sul suo presente, soprattutto se la vicenda che lo riguarda ha sollevato e continua a sollevare polveroni mediatici e attira, come accade in casi come questo, l’attenzione morbosa del mondo giornalistico. Mi paiono però troppo evidenti le coincidenze con le teorie freudiane: “mia madre mi ha educato come una bambina”, “non ho avuto nessun modello maschile”, “facevo sesso con gli uomini per identificarmi con loro”. Teorie che poi sono state rivisitate e hanno caratterizzato uno dei periodi più neri della storia della psicanalisi, con quelli che Mario Mieli chiamava saggiamente gli “psiconazisti”. Un giorno, guarda caso, qualcuno lascia a casa di Luca delle dispense di Joseph Nicolosi… (a chi non è mai capitato che un amico in visita dimenticasse qualcosa del genere?).

Nicolosi è il capo di un’organizzazione, il NARTH (che sta per National Association for Research and Therapy of Homosexuality, www.narth.com), che opera principalmente negli Stati Uniti e si pone come fine la cura degli omosessuali. Questa si chiama “teoria riparativa”. Il NARTH gestisce centri in cui gli omosessuali vengono ricoverati e sottoposti a una serie di “terapie” psichiatriche che li inducono a rifiutare l’omoaffettività e a “tornare” eterosessuali. Va detto, a scanso di equivoci, che l’attività del NARTH è molto contestata dalla comunità psichiatrica e che le teorie riparative sono state tutte rifiutate senza sconti dalle varie organizzazioni nazionali degli psicologi e degli psichiatri.

Vedo dietro a tutto questo molta ipocrisia.

Da una parte, non si può dire che Nicolosi e il NARTH non abbiano scheletri nell’armadio. E ne hanno di grossi. Anzitutto, i trattamenti non sono gratuiti: per curarsi dall’omosessualità, uno deve pagare fior di migliaia di dollari. Quando si convince qualcuno a curarsi da qualcosa che in realtà non può essere curato, da noi, si chiama truffa o al peggio circonvenzione d’incapace. Sono reati. Inoltre, Nicolosi ha ottenuto in più occasioni l’appoggio di esponenti della Chiesa cattolica. Un caso? No. Sfido a trovare un’altra questione che mette d’accordo vescovi e psicologi come quella delle teorie riparative.

Ma al di là di questo, va detto anche che il presidente del NARTH (che ha fondato nel 1992) era Charles Socarides, un noto psichiatra che ha studiato per molti anni l’omosessualità dopo aver scoperto che suo figlio era gay. Socarides attribuisce la causa dell’omosessualità a una presenza dominante della madre e a una carenza affettiva da parte del padre. Ed infatti credo sia morto senza essersi chiesto cosa sarebbe accaduto se fosse stato più presente nella vita del figlio. Ma vi è di più. George Rekers, prominente esponente del NARTH, è stato beccato in aeroporto a Miami, di ritorno da un viaggio a Roma, in compagnia di tale Lucien, aitante giovanotto di 19 anni noto in Internet per la sua attività di escort. “Mi serviva un facchino”, ha dichiarato, perché soffriva di mal di schiena. E chi non vorrebbe un facchino tutto per sé?

Insomma, con tutta questa ipocrisia sarebbe doveroso diffidare di dispense lasciate a casa propria da amici.

Dall’altra parte, esiste una questione giuridica dietro a tutto questo. Premesso che l’orientamento sessuale di un individuo non si può mutare (lo dice, tra le miriadi di studi, anche la rivista Aggiornamenti sociali dei Gesuiti, in un articolo del 2008 intitolato Riconoscere le coppie omosessuali? Un contributo alla discussione), ogni persona di buon senso dovrebbe rigirare la domanda e chiedersi che interesse hanno lo Stato, il diritto, la legge nell’imporre a un individuo di negare la propria omoaffettività. E’ questo il punto da cui bisogna partire. Ed è proprio perché questa domanda non trova una risposta che io vedo nelle dichiarazioni di Luca (e di chi ne ha pubblicato il contributo) non solo della malafede (Nicolosi è stato qualche mese fa a Brescia ad esporre le sue teorie) ma anche un grave pericolo: che i lettori si convincano che è possibile se non doveroso imporre un trattamento psichiatrico alle persone omosessuali; che un giovane gay o una giovane lesbica dovrebbero essere indotti a recarsi da uno specialista sin dal primo coming out (lo ricordo: questa gente si fa pagare, e pure bene!); che esiste la speranza che un ragazzo gay si sposi con una donna e magari faccia dei figli. O che un comunista si converta. Come Luca: “una volta ero omosessuale e di sinistra. Ora sono sposato”. E pure di centrodestra?

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